@ di Paolo Cavaleri
Ai sovrumani silenzi e la profondissima quiete,
perché il destino delle umane genti non sia mai dimenticato.
CINETICA – Non so quanto sia bene rimanere sempre attaccati al proprio luogo d’origine, oppure andarsene perché altri posti fanno da eco migliore alla natura nostra. Diciamo pure che ognuno per sé sa cosa sarebbe meglio, e forse è buona cosa sol guardarsi, e cominciare a capire la fortuna che abbiamo a vivere i tempi di oggi.
Il passato, come ieri del presente, può portarci riflessione e anche risposte per andare oltre quel che è stato. Tuttavia, ammetto che ora non si può andare oltre quell’uomo di cui narriamo. Quindi mi limiterò ad osservare e considerare … perché è anche giusto che egli abbia onorato la vita, con tutti i dolori e le sofferenze, con cui la cultura e il contesto di quel tempo lo obbligavano a tale condizione.
A te Giacomo, a te che sicuro di quel che hai detto non sarò mai, ma leggerti potremmo tutti, in quanto lasciasti moniti di un universo che hai concesso al mondo: il tuo.
Il tuo universo pervaso da fiamme interiori e tellurici dolori, dove non possiamo non capirti se hai giudicato la Natura. Ma alla fine un grazie ti è dovuto per la beltà colta negli odori dei fiori, e per la potenza del mare e l’infinità delle stelle che ti sentivi addosso per quanto tu immobile fossi.
Il giovane favoloso (2014).
“… e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei.
Così tra questa immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare”.
Monaldo Leopardi e Adelaide Antici hanno tre figli, Giacomo, Carlo e Paolina.
Sono una delle famiglie più illustri ed erudite di tutta Recanati, nelle Marche in Italia durante la prima metà dell’800. Il padre, come Conte, mostra al clero cittadino le abilità intellettuali dei fanciulli, ma sui tre uno più di tutti merita il suo affetto: colui che poeta e filosofo sarà, e fra le Alpi e la Sicilia, alcuni, ricorderanno al pari di Dante. Giacomo Leopardi.
Egli, nella sua attività di ‘studio matto e disperatissimo’, sotto il rigore dei genitori e dello zio, comincia ben presto ad avere problemi di salute. Scalpita così, nel suo animo, il desiderio di fuggire da Recanati benché egli abbia onori e amorevole affetto dal fratello Carlo e la sorella Paolina.
Troppo eco per quattro mura
Giacomo dimostrerà fervide ambizioni che andranno contro le idee conservatrici e spiritualmente tradizionali della famiglia. Questo è dimostrato dalla corrispondenza letteraria di cui casa Leopardi è oggetto da parte di diverse eminenze e letterati del tempo. Pietro Giordani, per esempio, mostra i componimenti del giovane agli ambienti alti, provocando le preoccupazioni dello stesso Monaldo.
Da Firenze a Roma per finire a Napoli
Così, dopo anni, Giacomo sarà nel capoluogo della Toscana, fra teatri ed eventi mondani, dove accompagnato da Antonio Ranieri e Giordani, alcuni lo crederanno contendente del Manzoni, e ancora, sarà avido amante con l’amico Ranieri di una nobildonna che a sua volta ricambierà l’affetto, si, platonico per Giacomo ma fisico per Antonio.
Successivamente, le necessità economiche spingeranno i due a trasferirsi da Roma alla città partenopea, dove gli acciacchi del poeta si allieteranno per il vivere dei napoletani e il piacere del giuoco per le cose semplici:
-“Napoli è una città dominata dalla Natura, e potrò vivere a caso … non chiedo altro in fondo”-.
Dalla bellezza dei luoghi alla paura della morte, paventata per la presenza del colera che imporrà al letterato di rifuggire nella Villa di famiglia di Ranieri con il medesimo e la sorella di questo, anch’ella di nome Paolina, ora affezionata.
Da qui, negli ultimi giri del limbo di vita, Giacomo recita i versi de La Ginestra, parte del suo lascito poetico.
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“Il Giovane favoloso” è una pellicola del 2014 per la regia di Mario Martone a cui sono andati diversi premi come quello dedicato al miglior Film (Globo d’Oro, Ciak d’Oro). Considerazione avvenuta anche per i costumi e il trucco, con il David di Donatello, di cui è stata onorata anche l’interpretazione di Elio Germano come protagonista.
Trama non perfettamente congruente alla vita reale del poeta, ne tratteggia comunque, celebrandolo, la sua importanza come intellettuale e personalità tormentata e avvezza al dolore. È una storia che ricalca come noi potremmo in effetti percepire i microcosmi esistenziali che incontriamo nel nostro percorso:
-“… nell’animo ardentissimo e disperato quanto mai fossi, in maniera che ne mangerei questa carta dove io scrivo, farò mai niente di grande? Neanche adesso che mi vo’ sbattendo per questa gabbia come un orso. In questo paese di frati … fatevi certo che in brevissimo scapperò’ -.
Egli sente oppressione si, in primo per la salute, che gli storici affermano tale perché figlio di due consanguinei (Monaldo e Adelaide erano cugini) ma allo stesso tempo, per quanto contesti la Natura, sa che ne fa parte.
Se il Leopardi non lo avesse saputo, o meglio, non se ne fosse avveduto, non avrebbe sofferto così.
Tuttavia non dobbiamo guardare solo al metaforico dialogo fra il protagonista e la Natura, che ha le sembianze della madre Adelaide, come qualcosa di definitivo per lui:
Giacomo conosce le lettere, nelle loro più antiche usanze latine, le tramuta in poesia e parla alla Luna come a una fida amica.
“O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari”
Si innamora di Teresa Fattorini, conosciuta al mondo come Silvia, e la identifica come l’innocenza della fanciullezza che fu e che mai più tornerà. Una vita privata di speranza dal destino.
Tra eruditi, mercanti e folli autori, il Leopardi ha rappresentato l’ante litteram degli intellettuali che bramavano un ambiente italiano nuovo, (Italia non ancora nazione), e collegato alla bellezza esteriore di cui non si sentiva parte, ma che nella lingua ritrova in altre forme:
-“La mia patria è l’Italia, la sua lingua, la sua letteratura”-.
Nel silenzio dei cafè letterari, e goffe presenze nei salotti, parla di amore e morte alludendo al senso dell’Infinito che nella sua vita percepisce come onnipresente.
La Natura nei lavori leopardiani non è positiva, ma forse è ampliando il concetto stesso e guardando all’Ambiente che possiamo vederla sotto un’altra lente: una triade fra flora, fauna e uomo.
Da l’Ermo Colle de L’Infinito alla Ginestra, o fiore del Deserto, per i suoni e le parole sobillate dalle emozioni che urlano il suo panteistico senso della vita:
“… mai più saggia, ma tanto meno inferma dell’uom,
quanto le frali tue stirpi non credesti
o del fato o da te fatte immortali”